#fisico: a pezzi
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allora. attualmente sono appena entrata nella fase di isolamento e continuo a dire a tutti che ultimamente mi sento a cavallo, quando non è vero per nulla. l'altro giorno sono uscita con un mio amico a cena, che mi fa no comunque tu non somatizzi nulla, hai la pelle sempre bellissima, poi a fine serata mi è preso dal nulla un momento d'ansia pazzesco e sono andata in bagno a vomitare. sono tornata a casa in taxi.
#veramente a cavallo direi#nervi: a pezzi#fisico: a pezzi#piango: sempre#comunque il lutto è pazzesco lo sento così naturale e innaturale allo stesso tempo
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La povertà e l’anoressia hanno scolpito il mio volto e il mio fisico, rendendolo lo specchio del mio malessere interiore.
#pezzi di vita#pensieri#riflessioni#anoressia#nutrizione#malessere#solitudine#tristezza#frasi tristi#povertà#mangiare#da solo#fisico#depressione#stress#frasi sulla vita#levi ackerman#attack on titan#anime
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La crescita che stai cercando la trovi nelle conversazioni scomode che stai evitando.
La più grande medicina è nei piccoli pezzi di vita che hai lì di fronte a te e che ti rifiuti di guardare:
I piatti sporchi nel lavello...
Gli inviti ignorati a fare esercizio fisico e a mangiare più sano.
Le piccole bugie che dici e nelle quali credi.
Le conversazioni scomode che stai evitando con coloro che dici di "amare".
È a partire da qui che guarisci.
Non in esperienze mistico psichedeliche con i guru del momento (che pure servono), ma nelle cose di tutti i giorni, nelle cose più ovvie. Quelle vere.
Massimo De Pasquale
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È che alla fine ciascuno ha i mezzi che ha, il bagaglio di vita ed esperienza che ha saputo e voluto costruire negli anni per sé. E che continua ad arricchire ogni giorno. Ognuno poi porta nel rapporto il corpo fisico che Madre Natura gli ha dato e che ha potuto migliorare o comunque cambiare in parte, con le proprie scelte.
Ora, tutte queste cose prendile e... mettile via! Perché l'amore è un'entità misteriosa, testarda e imprevedibile, che le variabili le adora e le accetta tutte. Non giudica, non pesa col bilancino, non segue le ricette di Giallo Zafferano. E sono convinto che anche se in ciascuno di noi due ci fossero state caratteristiche diverse, probabilmente la scintilla dell'attrazione sarebbe scattata ugualmente, tra te e me.
Infatti, a guardarla adesso, è una cosa che doveva per forza succederci. Proprio perché non esistono due persone più incompatibili. Tant'è che alla fine ha rinunciato perfino Eros, a tenerci assieme. Colpa mia, colpa tua: non fa più molta differenza. E poi chi lo stabilisce? Sarebbe un po' come se cercassi di misurare l'acqua col decimetro o il cous-cous con un barometro per il meteo. Anche se io, delle idee ben precise sulle cause della fine ce le ho. Ma me le tengo dentro. Niente ormai ha più davvero senso, tra te e me.
Chissà pure se sono un tuo pensiero anche remoto. Resta nella mia mente un dolcissimo retrogusto di baci scandalosi e osceni. Il calore del tuo corpo sul mio. Il ricordo di un sorriso che m'allargava il cuore. E quello di parole infuocate e libere, senza censure o pudori ipocriti, sussurrate all'una di notte in due telefoni roventi di passione. Cose molto intime e toccanti. Pezzi di vita probabilmente mai confessati ad altri. Non fosse che per questo, ringrazio di cuore Cupido e la sua mira assolutamente perfettibile. Amen!
Aliantis
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Una forza e una generosità straordinarie sono il dono di ogni madre, e sono la base di quell’amore incondizionato che solo una madre sa offrire e che tutti dovremmo avere la possibilità di assaporare. Un vecchio proverbio napoletano recita: «Chi tene ‘a mamma, nun chiagne» (chi ha la mamma, non piange), ed è vero. Le madri sono scudo pronto a difenderci da ogni dolore, a volte persino esagerando.
La verità è che l’amore può tutto, che un sorriso, uno sguardo sincero, una carezza sono sorsi di eternità, che nel dolore la fiducia nel domani può soltanto diventare più grande.
Una terribile battaglia da combattere “un lungo addio”.. “un addio rubato..un addio mancato.. un addio finto”.
Perché tra di noi, mamma, non può esserci addio.
La mia persona più amata si dissolve lentamente in piccoli pezzi, ed è impossibile andare a ripescare quale sia stata l’ultima conversazione. Struggente ed emozionante, «il segreto della vita».
Tutto ruota intorno ai ricordi e alla memoria, al loro disperdersi e riemergere continuo e imprevedibile, trasportando tutti in una sorta di infinito presente. Una storia di cui non conosco né l’inizio né la fine, ma di cui ho vissuto e vivo intensamente ogni giorno con dolore, paura, rabbia, fatica, solitudine, curiosità, ostinazione. Facile perdersi in questo guazzabuglio di emozioni. Non so dire con precisione quando quel processo abbia avuto inizio. Sono stata incapace di cogliere i primi segnali quotidiani. E mi sono trovata direttamente a decidere quanti scatoloni avrebbero occupato i ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza, riempiendoli ad una velocità molto superiore a quella delle mie emozioni, che mi soffocavano la gola. “Questo è il momento più difficile”, mi racconto ma intanto sto tatuando il mio cuore. In maniera indelebile.
Figlia unica di un genitore non autosufficiente, come la definisce la USL.
Il muro che ho dovuto attraversare per trovare il mio binario è fatto di rifiuto, disoriento.
Dovevo combattere con i fantasmi del mio passato, guardare negli occhi una persone che non mi riconosceva piu e specchiarmi nelle sue paure. Una micidiale danza di emozioni contrastanti: l’eterno presente senza ieri e senza domani il passato remoto improvvisamente prende vita catapultandoti in una dimensione surreale e spiazzante. Mi trito il cuore cercando di cogliere un’espressione diversa sul volto, un lampo negli occhi, un gesto, ma lei ė in un'altra dimensione e questo fa male. Come tenere tutto dentro.
Ecco come vedo, assisto e vivo questo lento perdersi. Un lento svanire. Spegnersi poco a poco, spettatore di questa surreale esibizione della vita. Dove il regista è il tempo e la trama è composta dalla memoria, dai ricordi, che a tratti riemergono da quel luogo fuori dallo spazio e dal tempo. Sono sempre lì. Sono sempre loro. Solo nascosti in qualche angolino. Basta aspettare il momento giusto... ed eccoli.
Un viaggio nei legami affettivi più forti, nelle nostre paure e nei nostri bisogni di amare, alla ricerca della felicità anche nelle situazioni apparentemente più avverse.
A 52 anni proprio non me lo aspettavo. Di figli ne avevo già uno, ormai grande, proiettato verso un futuro luminoso insieme alla famiglia che si era creato.
Ed io, invece, ecco che mi ritrovo, inaspettatamente, a dover fare i conti con la dolorosa esperienza di diventare “madre di mia madre", nel suo lento declino fisico e mentale.
Eppure il suo sguardo, di tanto in tanto, torna per un fugace momento (tanto fugace che, a volte mi chiedo se sia veramente successo) a fissarsi su di me, limpido e cosciente. Come se davvero fosse tornata a vederMi...tornata ad essere mia madre. Quella che si preoccupava per me. E si prendeva cura di me, sempre con un sorriso sulle labbra. Non so bene come spiegarmi. C’è da non trovare le parole quando hai a che fare con una persona che se ne sta andando lontano, sempre più, suo malgrado. C’è da augurarselo di non trovarle, mettere in fila i pensieri richiederebbe di voler vedere quello che si ha davanti e io non voglio.
“Mamma, sono io, sono Francesca”. Te lo ricordo, te lo ripeto, non perderlo il mio nome. Non lasciarmi andare. Nei tuoi pensieri troncati, assillanti, confusi non sei persa, perché non si può affogare in una pozzanghera, e non sei rinchiusa finché fai di tutto per stare a galla. Attaccati a me, aggrappati all'amo, salda più che puoi, con le mani e con lo sguardo, che ti tiro verso di me, non smettere di respirare.
Quanto fa male trasformarsi. “Sono io, mamma, sono Francesca”. “Lo so,” mi rispondi. Sei arrabbiata. In te c’è ancora forza...non molli, non cedi, ti ribelli. Mi prenderesti a schiaffi. Ti vedo, seduta sul divano. Ti stringi, ti rimpicciolisci, scompari, eppure io ti trovo sempre. So dove cercarti. So dove trovarmi. Anche se potremmo essere il gioco dei contrari io e te. Tu, che sei tanto diversa da me eppure ti assomiglio. Ho paura..e nello stesso tempo ho Il bisogno di non far vedere agli altri che sto male.
Ho tanti sensi di colpa: sono una mamma, come te. Quanta malinconia c’è, quanto mi ricordo di te..ricordi che si diluiscono. All’inizio mi concentro sul come fare per catturarti e quando ti ho catturata penso a come trattenerti; quando sto per perderti cerco di invogliarti a restare con un nuovo stratagemma; quando ti ho persa iniziano i propositi per fare meglio la volta dopo. Ricomincio, riprovo, non mollo mai. I tentativi si susseguono senza sosta. Non c’è fine, non c’è pausa. Ci pensi anche quando non lo fai. Ci deve essere da qualche parte una linea di confine che, se oltrepassata, è un cambio perenne di stato. E ci pensi mentre fai la spesa o sei in fila dal dottore, mentre parli al telefono con un’amica e perfino mentre ti fai la doccia. Quando sei sotto il getto dell’acqua tiepida piangi per il fallimento: non importa quanto poco ti consoli l’esserci per accudirla. L’acqua si miscela alle lacrime nel gorgo dello scarico e dovrebbe andare giù, lasciarti, non tornare, giusto? No, non va giù. La lacrima stagna, imputridisce. Si deposita. È l’acqua delle pozzanghere. Non conosce colore, non conosce fine. Non riflette tutto il cielo, non è nemmeno una finestra. Non bisogna scoraggiarsi.. ma mi mancano le forze o forse il coraggio. A volte ricordo i tempi piu felici che sono anche i più taglienti.“Eccomi! Ciao, come stai oggi? Hai visto che è arrivata l'estate???....
Guardami,
"sono Francesca, mamma
Mamma❤”.
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Ieri mattina ho cominciato a stare male. Questa angoscia che tornava a galla. Questo senso di terrore, non di paura, di disperazione: mi sento disperata. Le mattine passate nel terrore. Si può patire così tanto? Soffrire così: le sembra umano? Ci sono depressioni che durano eternamente, e la mia è una di queste. Sono talmente invischiata in questo dolore che mi sembra impossibile che possa togliermi questo peso dallo stomaco. È più che una sofferenza fisica. Ci si sente diversi dagli altri individui. Me li guardo come persone di un altro pianeta. Questo sentirmi lontana da tutti. Ci si sente come costretti a camminare su due gambe rotte. Mi sento tutta a pezzi. Si prova una sofferenza tremenda. Come ricercare qualcosa che non si raggiunge mai. Mi chiedo spesso come un organismo possa superare tutto questo. Possibile che non ci si consumi con tutto questo? Nonostante tutto questo stillicidio l’organismo resiste. Mi sembra un mistero. Ci sono dei momenti in cui mi sento liberata da questo peso. Ci si trova a terra da un momento all’altro. Mi sento veramente morta. Mi sento con dentro niente. Mi ritrovo senza nessun desiderio. Sono in un baratro.
[…]
“Morivo ieri mattina: da ieri sera mi sento meglio. Il tempo: quasi un fermarsi: un tempo che si fa eterno. La mia sofferenza è l’unica cosa che sento. Mi sento in un clima di tragedia. Mi sento quasi andare alla deriva. Mi sento svuotata di tutto. Non ho voglia di vivere perché vivere significa morire. La realtà è tremenda. Mi sento ossessionata da questa sofferenza. Sono in carcere: sto per rientrarvi ora che esco di qui. Mi sento in bilico. Istintivamente, mancandomi quest’angoscia, mi sento più sola. Mi manca, ma non dovrei sentirne la mancanza. Il cuore stretto da una morsa di acciaio. Il dovere sopportare tutte le avversità che ho: questa è sofferenza. Estranea: è così che mi sento. Non ho più l’angoscia di allora. Avevo l’impressione che il grande dolore, l’angoscia, mi schiacciasse.
[…]
“Giornate pessime. Mi sento terribilmente sola. Non ho niente a cui aggrapparmi. Non c’è più niente che mi dia senso. Non riuscivo a piangere. Mi sentivo disperata: almeno piangessi. Quello che mi mette in crisi sono le decisioni. Se potessi sperare nel suicidio, se potessi contare su di una morte così vicina, se potessi scegliere la mia morte, sopporterei meglio questa sofferenza tremenda perché ne conoscerei la fine. Non ho la speranza della morte. Non ho questa speranza. Non ho più alcuna speranza. Mi sento il cuore in gola: come se avessi fatto una corsa. Vivere così mi sembra praticamente impossibile. Sono disperata. Mi sembra di essere ancora prigioniera dell’angoscia e della disperazione. Vivo come un automa.
[…]
Non riesco a liberarmi da questa angoscia. Avverto una sofferenza, e questo è fuori discussione. Di cosa è fatta questa sofferenza? Il dolore fisico, al confronto, non è niente. Tutti i contatti umani sono tragici. Mi sento come prigioniera nelle sabbie mobili, e i tentativi per uscirne, sempre più disperati, raggiungono solo lo scopo di farmi precipitare giù in fondo. Non ce la faccio più a vivere così. Cosa faccio visto che, anche con l’aiuto dei farmaci, non riesco ad uscirne? Mi detesto. È una cosa disumana: non ne posso più. Questa sofferenza mi annulla. Non è facile morire.
Maria Teresa da Eugenio Borgna, L'indicibile tenerezza: In cammino con Simone Weil
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La casa in cui sono nato è una palazzina di tre piani edificata all'inizio degli anni Cinquanta. [...] Dapprima ci abitava solo mia madre, poi, quando si è sposata, è venuto a starci anche mio padre. Malgrado ci sia, sulla credenza, una foto di loro due con me piccolo in braccio e malgrado loro sorridano, non ricordo un solo istante del mio passato in cui, fra quelle quattro mura, ci sia stato qualcosa di simile alla felicità. Non dico quella dei vecchi film americani, dove tutti si parlano con musi da cerbiatti. Mi sarei accontentato di qualcosa di più semplice, di più essenziale. Se penso a qualcosa di fisico, penso a una colla tiepida. Una colla che tiene assieme i pezzi. Io sono qui e tu sei qui vicino, la colla ci unisce, ci aiuta a capire quel che facciamo. Invece niente, c'erano due persone in quella casa, e quelle due persone avevano la stessa vicinanza di un muro e una scarpa. Poi ne è venuta una terza, ed era un'altra cosa ancora, una vanga, ad esempio. Il muro, la scarpa e la vanga vivevano insieme sotto lo stesso tetto. Tutto qui.
Susanna Tamaro, "Anima Mundi"
#pensieri#riflessioni#scrittura#scrittori#libri#lettura#lettori#frasi#frasi tumbrl#citazioni#citazioni libri
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sono due giorni che mi guardo allo specchio e penso: “cos’ho che non va?”
nessun deficit fisico, per carità, ma perché la mia mente pratica l’autosabotaggio fino a che quello che più temo diventa poi realtà.
allora inizio a pensare: “solo pensieri positivi, Mari, per favore, attira la positività”.
ma positività al momento ce ne sta poca, domani saranno 5 anni che non è più con me, ed ogni estate mi sento sempre più sola, non importa cosa faccia, ma sono sempre sola. mi ha lasciata essere una leonessa circondata da un branco di iene a cui ho permesso di farmi a pezzi, ricostruirmi e poi farmi a pezzi più piccoli.
riuscirò a ricomporre per l’ennesima volta il puzzle o semplicemente perderò altri pezzi e l’immagine non sarà mai completata?
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The End is where we Begin:
*Ogni storia ha una sua fine, ma non è la fine della vita, è solo l'inizio di esperienze nuove.
Mi piace il sapore degli inizi, instabili eppure coraggiosi, quando le aspettative non hanno ancora la presunzione di essere loro a comandare
L’unica gioia al mondo è cominciare. E bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità, – si vorrebbe morire.
E tu, Dimitri, hai sempre fatto tua questa specifica caratteristica.
Non hai mai messo un punto fermo ai tuoi loschi piani e al tuo desiderio di conquista, sei sempre stato retto nella tua direzione, nonostante le avversità ti abbiano messo i bastoni tra le ruote, hai sempre combattuto per ciò che tu credi, per quello a cui hai sacrificato la tua l'intera esistenza.
Il mondo di prima sembra essersi sgretolato in mille pezzi, come se ad attendere questo momento fosse stato il destino in persona a rimetterti nella retta via, la /tua/ retta via.
Si dice sempre che quando stai facendo la cosa sbagliata il diavolo non ti viene a cercare, ma è quando fai la cosa giusta egli bussa alla tua porta, per tentarti, per plagiarti e confonderti.
Ma sei tu il diavolo di te stesso, Dimitri.
Sei tu e soltanto tu l'artefice del tuo destino, delle tue malafatte passate e future.
Chi mai sognerebbe di venir a bussare alla porta dell'Impersonificazione del male?
E guardati. Guardati adesso.
Sei sparito dalla circolazione per molto, troppo tempo, solo tu sai cosa è successo in questo periodo prolungato. Nessun altro deve sapere cosa è capitato.
Lo scopriranno a tempo debito.
Guardati, ripeto, guardati adesso.
Sembri completamente diverso. Sei completamente diverso.
A partire dall'aspetto, fino al più profondo briciolo della tua anima.
Durante la tua assenza dai riflettori del mondo hai inglobato a te l'essenza di quella creatura Demoniaca che viveva dentro la tua anima, Rashomon.
Siete diventati una cosa sola, riuscendo ad addomesticarlo e farlo diventare parte integrante della tua persona, cambiandoti di fatto l'aspetto fisico e mentale.
Il tuo aspetto ben tenuto ed affabile dà la prima impressione di un uomo di natura buona e carismatico, con sempre un ampio sorriso stampato in volto. Questa facciata giocosa e raffinata, tuttavia, nasconde un lato molto più oscuro - uno dall'egocentrismo ineguagliabile - e che non esita a usare la violenza fisica quando gli altri non rispettano i tuoi valori o le tue aspettative. Come sempre hai mantenuto il tuo lato chiaramente narcisista, con l'amore per sé stesso definito equiparabile a null'altro, e che vede pochissime persone come tuo pari.
E se dapprima vederti sorridere era una rarità inestimabile, ora quel sornione e aguzzo sorriso dipinge il tuo volto come una tela indossolubile.
Un sorriso che è una forma di ego molto autoimposta ed uno sfoggio di potere e dominanza, che nasconde dietro di esso un lato cupo, tetro e altamente oscuro che nessuno deve scorciare.
Siamo morti e rinati nello stesso tempo, siamo ciò che nessuno poteva immaginare.
Siamo l'inizio e la fine.
Siamo il passato e saremo il futuro.
Perchè "siamo"? Perchè prima o poi, tutti diventeranno Dimitri, e Dimitri diventerà ogni cosa, il tutto, il solo.
Dimitri è ovunque e da nessuna parte. Il Gatto di Schrodinger impersonificato in un Demone.
Ma adesso, adesso non c'è tempo per illazioni o progetti troppo futuri.
Il futuro si costruisce passo dopo passo, con pazienza e dedizione.
Ora più che mai, ora che hai acquisito questo nuovo potere unendoti con Rashomon, la cautela e la prudenza saranno il tuo rituale di vita.
Giocherai ad un gioco che prenderà il nome di "pazienza". E si sa, la pazienza è la virtù dei forti.
Chissà quali nuove sfide ti attenderanno in questo Mondo che si è rimodellato come nuovo.
CI saranno ancora i tuoi storici rivali di un tempo?.
Cosa ne potrai trarre questa volta da loro?.
Solo il tempo darà risposta a tutti questi quesiti, ma per ora......come detto poc'anzi......noi.......aspettiamo, noi......attendiamo........noi....siamo....Dimitri!.*
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Day 55
Giorno 55 - ieri.
Totale caffè bevuti: 2 (rifiutato terzo caffè dopo cena).
A pranzo: sapendo di dover restare fuori a cena, ho cercato di restare leggero... senza riuscirci. Fritturina mini di calamari e verdure, contorno di patate al forno.
A cena: bruschetteria. Bruschette di 120cm divise per otto e multigusto. Per fortuna c'erano anche dei pezzi con verdure (radicchio, erbette, etc) e frittini di contorno. Birra, Cheesecake (maledetta, ci sto ancora male oggi) al caramello e amaro a fine serata (Sibilla con ghiaccio, molto buono).
Rientrato a casa, scopro che c'è un guasto sul LOS della borchia fibra, e questo significa guai: primo, perché non è un guasto generalizzato (benedetto downdetector) ma fisico, sul cavo di fibra, e secondo perché è impossibile che il tecnico esca nel weekend, specie se non è stato chiamato quando ancora era possibile, cioè venerdì mattina. Mia moglie ha preferito aspettare che rientrassi io a tarda sera ed eccoci. Stamattina ha chiamato il supporto e pare che il tecnico esca lunedì, a meno di miracoli. Per fortuna nessuno dei due è dipendente dalla rete di casa e abbiamo comunque una buona offerta per la connessione mobile... ma per oggi sicuramente non si fa streaming sulla tv. Già è tanto che io sia riuscito a collegare i miei pc all'hotspot del telefono.
Una nota positiva: non volendo impattare troppo sulla connessione, invece di tenere Spotify attaccato sto usando la mia vecchia cartella di musica in MP3, e mentre scrivo questo post sto riascoltando "A Moon Shaped Pool", dei Radiohead, caso unico di disco che ho acquistato in digitale.
Vedrò di godermi questa giornata parzialmente unplugged.
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Sono tornata al punto in cui vedo una ragazza che si mangia a malapena 2 pezzi di pizza e io la invidio mentre me mangio almeno il doppio di lei. So che è un pensiero molto tossico per me stessa, come quello di voler vomitare tutto quando mi sento troppo piena o in colpa dopo mangiato e ringrazio la mia fobia per tenermi alla larga da questo comportamento malato.
È così tanto difficile avere un po' di buona volontà e muovere il culo per fare palestra?? Ma che cazzo. Davvero l'apatia o la depressione mi portano solo a lamentarmi senza agire?? Sto riprendendo almeno una sana alimentazione, se solo non saltassi la colazione per dormire, ma settimana prossima riprenderò a farla e qualche sgarro che non riesco a frenare. Alla fine avevo perso kg solo mangiando sano e meno del solito, però certo se facessi un po' di movimento sarebbe il top e non solo per il fisico ma anche per la mente.
Non sto bene con me stessa, non ci riesco. Non capisco chi mi vede bella, cioè sì, brutta non sono, però nemmeno tutta sta gran figa. Ma mi ci vorrei sentire. A volte capita eh, poi però mi paragono ad altre e scendo dal piedistallo. Che poi alla fine, non c'è nulla di male nel sentirsi sto cazzo, finché non sminuisci le altre persone.
Eh, se solo fossi più buona con me stessa.
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La mia vita è una esplosione di emozioni e la mia mente è un caleidoscopio di pensieri.
#vita incasinata#pezzi di vita#riflessioni#aforismi#pensieri#tristezza#solitudine#frasi tristi#pensieri miei#pensieri interiori#mente#psiche#fisico#depressione#ansia
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Due di Denari
"La sacra Fiducia nel domani".
Il Dono è una dimensione dell'Essere, non del Fare.
Rappresenta una meravigliosa co-creazione tra Spirito ed Individuo.
Si esprime nell'Umano in molteplici forme di manifestazione materiale e immateriale.
E' magia, è dialogo, è connessione profonda.
E' proprio per l'originalità e unicità di questo dialogo che siamo così diversi l'uno dall'altro.
Nessuno è uguale a nessuno. Non su questo piano di Coscienza.
Ed è una ricchezza immensa.
Anche il Dolore è una "dimensione unica ed originale".
Ci sono mille modi per soffrire. Esistono mille ragioni diverse per sentirsi feriti e tristi, mille frequenze della stessa condizione di malessere, mille storie di tradimento ed altrettante formulazioni recettive secondo cui sperimentarne l'intensità del dolore nel corpo fisico e psichico.
E' proprio in funzione di tanta "bio-diversità" che non ci sono mai domande uguali ad altre e nemmeno "risposte giuste o sbagliate" che possano risolvere a priori i dilemmi interiori di ogni singolo "ricercatore esistenziale".
Ma proveniamo dalla stessa Fonte. E il Cuore Cristallino è uno ed uno solo. E' uno strumento Universale.
Si collega direttamente all'Origine, là dove tutto esiste nell'indefinita e indefinibile Coscienza Primordiale.
E' quel Diapason così familiare all'orecchio interiore, che tocca anche i Cuori più congelati e chiusi, spalanca le porte al dubbio, scuote le viscere, destabilizza per qualche istante anche strutture fortemente compromesse dalla fragilità e prigionia psichica ed emotiva.
Questo però non significa che può trasformare un disturbo di personalità consolidato e invalidante in un "miracolo".
In queste strutture così umanamente compromesse, il "dialogo" tra Cuore e Anima è interrotto.
Per dialogare con lo Spirito e trasformare il rapporto con se stessi in piena Guarigione, l'Umano deve essere presente a se stesso, strumentato, radicato nella propria disponibilità al cambiamento ed emotivamente equilibrato.
Alcune strutture, per quanto mosse da sinceri intenti di Guarigione, non sono in grado di reggere a livello strutturale cambiamenti troppo radicali. Dovrebbero impegnarsi a destrutturare per anni schemi altamente invalidanti e patologici.
Dovrebbero assumersi coscientemente il rischio di destrutturare interiormente la propria "identità malata" e fidarsi nel sostegno terapeutico della ricomposizione dei pezzi interiori deflagrati nell'atto estremo di rottura.
Ma magari è proprio la Fiducia la grande ferita che portano dentro. Le figure di riferimento hanno "tradito" più volte i loro bisogni nell'infanzia, o si sono rivelate espulsive, maltrattanti, ambivalenti, respingenti o manipolatorie e strumentali nella gestione del rapporto con il figlio.
Risulta inimmaginabile affidare nelle mani di qualcun altro la loro vulnerabilità.
Senza fiducia però non si matura, si resta chiusi nel proprio fortino di solitudine e le relazioni muoiono.
Con la ferma convinzione che "se basto a me stesso, sono al sicuro".
L'iper-indipendenza è una delle più gravi patologie dei nostri tempi, tanto quanto la dipendenza.
Rappresentano le facce della stessa medaglia. E non ci permettono di rompere gli schemi distorsivi della nostra realtà percepita.
Nell'iper-indipendenza, se non ricostruiamo un "sano rapporto con la fiducia" dentro noi stessi, tenderemo ad allontanare perennemente le opportunità di relazione e a respingere la presenza dell'Altro.
Le persone si sentiranno energeticamente tenute a debita distanza, obbligate a fermarsi qualche passo prima, bloccate da un muro di protezione, obbligate ad osservarci da lontano senza mai potersi realmente avvicinare.
Questo è sano se fa parte di un primo approccio di conoscenza. Ma non se diventa la "normalità".
E' assolutamente necessario e corretto vagliare energeticamente le intenzioni dell'Altro, prima di consentirgli di entrare nel nostro sacro luogo di intimità.
Ma perseverare in questa "distanza di sicurezza" anche se in assenza di un reale pericolo per la nostra incolumità, a lungo andare, organizza le nostre vite intorno alla povertà di scambio, alla solitudine e alla carenza di opportunità esterne.
Osservate il vostro Campo Energetico. Quanto è aperto alla Vita?
Se avete paura di soffrire, di accogliere, di coinvolgervi affettivamente, se sentite la perenne sentinella di allerta vibrare dentro di voi, provate a lavorare sulla "Ferita del Tradimento".
Essa è complessa da affrontare. Ma rompe schemi e strutture che spesso negano a priori una Vita piena e appagante dal punto di vista relazionale e di realizzazione.
Dalla fine del recente tunnel di questi giorni alla prossima movimentazione astrale, saremo chiamati a ripristinare dentro di noi "pezzi perduti dell'Infanzia". Ad incastonarli definitivamente al Cuore Cristallino. A portarli a funzionamento nuovo.
Sarà un movimento commovente.
Riguarderà la "fiducia".
E quando si entra in questo delicato campo, potremmo ancora sentire la Terra tremare sotto i nostri piedi. Ma oggi sappiamo che è un ricordo associativo. Che non è la realtà. E siamo pronti a lasciarci smentire dai fatti.
Buon viaggio di "ricostruzione" e di grandi "sorprese affettive".
Mirtilla Esmeralda
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Ettore Sottsass Métaphores
Sous la direction de Milco Carboni e Barbara Radice
Skira Seuil, Paris 2002, 125 pages, 24x34cm, ISBN 97888849132491
euro 140,00
email if you want to buy [email protected]
Dans ce carnet intime, Ettore Sotsass, l'un des plus grands designers contemporains, laisse entrevoir ce qu'a été son expérience créatrice de la fin des années soixante au début des années soixante-dix. De cette période très féconde au plan artistique tant pour lui que pour bien d'autres artistes, Ettore Sotsass publie pour la première fois des projets et des photographies prises aux États-Unis, en Italie et en Espagne, entre 1968 et 1976. Soigneusement sélectionnées par ses soins, les pièces sont présentées dans le cadre d'une histoire par laquelle l'artiste convoque sa mémoire et dialogue avec son passé. Ce journal personnel en images permet d'accéder à l'univers culturel complexe de Sotsass et d'approcher son processus de création.
Progettato da Ettore Sottsass, il volume costituisce una sorta di diario intimo e di riflessione per immagini di uno dei più grandi designer del nostro tempo, con suggestive fotografie scattate dallo stesso autore. Interamente ideato e disegnato da Ettore Sottsass, il volume rappresenta le esperienze concettuali e artistiche compiute dal maestro milanese tra la fine degli anni ‘60 e i primi anni '70.
Considerato uno dei più acuti e provocatori designer del dopoguerra internazionale, fondatore di Memphis e icona della cultura postmoderna, Ettore Sottsass ha da sempre alternato l'attività di progettista a un uso continuo della fotografia come strumento per riflettere sulla realtà e sul ruolo della visione. Il volume raccoglie materiali fotografici e grafici realizzati negli Stati Uniti, in Italia e Spagna tra il 1968 e il 1976 fino ad oggi assolutamente inediti.
Le Metafore sono una sequenza di fotografie scattate da Ettore Sottsass Jr. durante i suoi viaggi nei deserti della Spagna (Barcellona, Madrid, Almeria, Grenada) e sui Pirenei. Le Metafore sono opere temporanee di land-art o pseudo-costruzioni architettoniche create nel paesaggio, fatte di oggetti poveri e fragili, pezzi di spago, legno, nastri, foglie, sassi, pezzi di abbigliamento, ecc.
In quel periodo Sottsass si interrogava sul ruolo e sulla responsabilità dell'architetto nella cultura industriale contemporanea e sentiva il bisogno di tornare alle origini dell'architettura: con questi edifici, sorta di "studio del linguaggio architettonico" (Barbara Radice), cercava di indagare il rapporto tra l'individuo e l'ambiente fisico. Case senza pareti e soffitti, porte che si affacciano sul vuoto, pavimenti senza fondo, letti dove non si può dormire e molti altri oggetti che pongono l'uomo come spettatore di fronte al vero significato della propria esistenza e del proprio destino.
18/06/24
#Ettore Sottsass#Sottsass#rare books#métaphores#metafore#Barbara Radice#Milco Carboni#photography books#sequenza fotografie#Spagna#fashionbooksmilano
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Intervista a Joy Alpuerto Ritter
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Ex danzatrice della Compagnia di Akram Khan oggi Joy è assistente alle coreografie e ripetiteur nonché coreografa freelance. Nata a Los Angeles e cresciuta a Friburgo in Germania, oggi vive a Berlino. Alcuni giorni fa si è collegata da Londra per incontrarci su Skype. Di mattina, prima di iniziare la giornata di prove, ci ha raccontato della sua storia ripercorrendo il lavoro con Khan arrivando poi alla sua attività di oggi.
Photo by Jean-Louis Fernandez
Ricordi il primo incontro con Akram Khan? Che percezioni hai avuto e come sono cambiate nel tempo?
Penso che il mio primo incontro con Khan non sia stato granché speciale perché, impegnata con una produzione del Cirque du Soleil, non ho potuto partecipare all’audizione ufficiale. La compagnia è stata molto generosa però a offrirmi l’opportunità di fare un’audizione privata con il direttore delle prove Jose Agudo che ha poi mostrato il video a Khan. Quindi, attraverso il video, Khan mi ha scelta e invitata per un suo nuovo progetto nel 2013. È stato strano perché io non lo avevo mai incontrato e la prima volta è successo in Francia per una cena con tutta la compagnia. Lì abbiamo parlato per la prima volta, ricordo in particolare dello spettacolo su Michael Jackson che avevo appena fatto con il Cinque du Soleil.
Nel primissimo periodo ricordo di essermi sentita molto nervosa, ero l’unica nuova nella compagnia quindi Khan conosceva già tutti e mi sentivo sotto esame. Ho imparato tantissimo: il lavoro era molto giocoso con tantissime improvvisazioni, ma anche con tanto materiale coreografico. Khan usava due strade per conoscere al meglio i nostri punti forti ma soprattutto la nostra personalità, un aspetto importante per quel lavoro caratterizzato da diversi personaggi.
Ricordi il nome del progetto?
Era iTMOi (nella mente di Igor). Ciò che mi ha messo alla prova è stata la fisicità del lavoro, le rotazioni, i miei piedi bruciavano al pavimento. Khan chiedeva tantissima energia ed era anche molto sfidante in termini di ritmo. Io non desideravo altro, ero in quella fase in cui stavo imparando e volevo farlo il più possibile. Khan è una persona davvero rispettosa e sa come essere esigente con i suoi danzatori spingendoli sempre al di fuori della loro comfort zone.
Durante i suoi processi creativi collabora con i danzatori?
Dipende dal progetto, per esempio ricordo che abbiamo collaborato per Kaasha e iTMOi e abbiamo anche danzato insieme con lui in Until the lions. Danzare con lui è stupendo. C’era tantissima potenza che riuscivo a cogliere e dare ai suoi pezzi; lui non si aspetta altro che il massimo. Bisogna essere sempre focalizzati sul lavoro senza mai marcare.
Qual è il training quotidiano della compagnia?
Dipende anche qui dal progetto. Solitamente il direttore delle prove si occupava della lezione di riscaldamento e rafforzamento con una lezione di danza contemporanea. Poi danzavamo anche il Kathak – che è la base del lavoro di Khan insieme a un mix di danza tradizionale indiana, danza contemporanea e altri stili di danze folkloriche. Di base si trattava di danza contemporanea o di un altro tipo di training fisico (come lo yoga), poi il Kathak e poi le prove. Il riscaldamento durava più o meno due o tre ore. Il suo è un lavoro davvero corposo e in quel contesto non importava mai quanto si riuscisse a fare in termini di quantità. Ciò che contava era sempre di avere una buona preparazione fisica ed essere pronti per le prove. Alla fine della giornata spesso facevamo anche degli esercizi per migliorare le nostre capacità ritmiche, con pattern ritmici che cantavamo e seguivamo con i passi, spesso molto difficili!
Cosa vuoi trasmette del lavoro della compagnia, soprattutto per coloro che non hanno mai fatto esperienza del lavoro di Khan?
Credo che si debba avere innanzitutto la volontà che ti permette di impegnarti al massimo. Invito tutti coloro che parteciperanno a fidarsi del viaggio che faremo e di permettere a loro stessi di andare a fondo della ricerca e mettendola anche in discussione.
Ciò che importa è la qualità, non conta la quantità di cose che si è in grado di fare. Non importa quanto posso fare ma come posso farlo. Questo vale pe tutto dal movimento più virtuosistico fino al semplice stare in piedi fermi. Il focus è sull’estremità e non su quale movimento mi rende un grande interprete; spingerò molto in questa direzione, perché essere un bravissimo danzatore non significa essere un grande performer e viceversa. Tutto sta nel come si trasmette al pubblico, di certo bisogna avere la tecnica ma non solo. La combinazione dei diversi aspetti è la soluzione! Per questo è importante capire il miglior approccio mentale per danzare, che include sacrificio e impegno. Bisogna anche credere e fidarsi nel percorso che si fa e permettere di andare sempre più a fondo.
Ora che sei anche coreografa, quali esperienze del passato pensi ti abbiano segnato di più?
Il mio background da danzatrice è stato sempre versatile: ho iniziato con la danza classica, poi con la danza folklorica filippina, mia madre mi ha insegnato la danza tradizionale asiatica poi ho studiato danza contemporanea, jazz e hip hop.
Sono sempre stata curiosa, volevo ispirarmi a più stili e ambiti di danza: quello professionale rimanendo legata anche al senso di comunità che ha la danza popolare.
Ciò che porto con me è un mix di stili e penso anche al Kathak di Akram. Da coreografa sto provando a connettere tutto ciò che ho provato nel mio corpo per raggiungere una libertà di espressione personale. Questa modalità mi proviene da Khan che dice sempre: «Trova il tuo modo». Mi ci è voluto un po’ per capirlo.
Un’ultima cosa importante è il lavoro di Khan con diversi personaggi, in Untile the Lions e iTMOi ad esempio. Lui usa storie ma invita ogni volta ogni danzatore a creare la propria.
Photo by Jean-Louis Fernandez
Do you remember your first meeting with Akram Khan? What kind of sensations did you live and how these emotions changed during the time?
I think my encounter was first time quiet not special, because I auditioned a second time. I came from Cirque du Soleil, I couldn’t enjoy the official audition, so the company was generous to make a private audition with the rehearsal director Jose Agudo. I was auditioned with him, and he showed the video of my dance to Akram. Then, through the video, Akram invited me to the first research of a project in 2013. It’s weird because I had never met him in my life, the first time we were in France with all the dancers in a restaurant. We had a private conversation, especially about Michael Jackson Circle du Soleil show. At the beginning with the company, I was nervous because he knew the other dancers already and I was new, it looked like a test. At the beginning dancing was very playful with lots of improvisation, but he also gives a lot of choreographic material, so as both to know our special skills and getting to know our personality especially for that project where there were a different kind of characters. I learned so much!
Do you remember the name of the project?
Yes, iTMOi (In the mind of Igor). What I really was memorized and challenge by was also really grounding physicality and spins; my feet were burning on the floor. This was a special technique that really push you and challenge you also in terms of rhythm. I really wanted that challenge because I was in the phase of learning as much as possible as dancer. He is very respectful, but he really knows how to push people out of their comfort zone.
During his creative process does he collaborate with dancers?
It depends on the project. For example, in the beginning yes for Kaash, iTMOi and we also danced together in Until the lions. Dancing with him was amazing. There was a lot of power that I was able to discover in his pieces, he expects you to really go for it. No marking, you go for it very focused. I really like the balance between be respectful and very challenge.
What is the physical training did you do with him daily?
It depends on the project. At the beginning we had the rehearsal director giving us a warmup, strengthening out the body, in contemporary dance. Than we also dance kathak – which is the base of his work mixed with Indian classical dance, contemporary dance and also other folk dances style. Basically, the training was contemporary dance or different training (as yoga), kathak than we went to rehearsals. It’s around two or three hours. It is a very consistency training, it does not matter how much you tour, the quantity; It is important to have a good base of physical fitness. At the end of the rehearsal, we used to improve our learning and rhythm with different and challenging patterns.
For those who don’t know your work, what is the physical focus that you want to transmit to the dancers?
I think there is some feeling allow to commit. I invite them to trust in the journey and allow yourself to go deep search also questioning. It is important the quality, not even the tricks or to impress but the quality. It is not important the quantity, not what I can do but how I do it. From very virtuous physical movement versus just standing still. The focus is extremities not which movement makes me a great performer. Of course I will push in this direction, because great dancer does not mean great performer and vice versa. It is about how to transmit to the audience and space and of course we have the technique so that combination is the answer. It is important to understand the best mental approach to dance, which involves sacrifice and commitment, you also need to have trust in the journey, and allow yourself to go deep. It’s important the quality, how I do something, either a physical movement or just standing still.
Now as a choreographer what aspects of his work and your past experiences made a sign in your today’s work?
My dancing background has been versatile: I started with ballet, Philippine folk dance, my mum taught me Asian folk dance, then contemporary dance, jazz, and hip hop, I also did hip hop battles! I was always curious, I wanted to be inspired by different styles and fields. Professional of course but also remaining close to the sense of community of the popular dance. As a choreographer I’m trying to connect different styles that I have tried in my body, and I try to achieve the freedom to express through these different styles. It is from Akram: “Find your way”. You get inspired by different techniques and styles and then make it your own, it took me a while to that. Lastly, another thing is that I like working with characters. I worked with Akram on Until the Lions and iTMOi. He uses stories but he invites every time to make it to your own.
Photo by David Scheinmann
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"Pronta per la prova costume?"
Ogni anno, poco prima dell'estate, non si parla d'altro che di prova costume. Ne parlano le riviste di benessere, i social, la televisione.
Prova. Ma prova di che cosa esattamente? Perché quel mettere il costume deve trasformarsi in una prova, un test, un esame? Se vuoi andare al mare devi superare questa benedetta prova costume, ovvero devi avere necessariamente un fisico bello e tonico. Non è un caso che a giugno le palestre sono piene.
E sapete a volte che succede a chi non crede di essere in grado di superare la prova costume? Si copre, nasconde il suo corpo. Magari mette una maglia, un vestito o un pareo per non sentirsi a disagio. Cerca di diventare invisibile tra i visibili, invisibile tra quei corpi che mostrano con fierezza addominali scolpiti e gambe lisce come la seta.
La donna che non supera la famigerata prova costume secondo i nostri canoni di bellezza, ma mette ad esempio i due pezzi, viene spesso guardata, giudicata, derisa: “Non si vergogna a indossare quel costume quella là? Ma si è vista?”.
Così la spiaggia diventa un salotto dove parlare di corpi imperfetti. La spiaggia diventa un tavolo da ping pong: da un lato corpi vincitori, dall'altro corpi sconfitti. Come in tutte le prove c'è chi vince e c'è chi perde, no?
Mettersi in costume non è e non deve essere una prova. Non è una gara tra corpi questa. Il corpo migliore non vince alcuna medaglia. Smettiamola di parlare di prove costume. Una bambina che sente parlare di prova costume capisce che il suo fisico dovrà entrare in competizione con altri e potrebbe arrivare a mettere in discussione il suo aspetto, potrebbe iniziare a detestare il suo corpo e a stare male.
Pezzo bellissimo ...PERSONE dentro corpi imperfetti
Andiamo al mare e mettiamo da parte i pregiudizi. Non esistono corpi perfetti o corpi con il marchio “prova costume superata”. Godiamoci il sole, godiamoci i tuffi nell'acqua salata e lasciamo agli altri, a tutti gli altri, la libertà di godersi le stesse cose dentro i loro corpi. Ogni corpo ha valore perché dentro ogni corpo c'è un cuore che batte e un'anima piena di sogni. E dietro ogni corpo c'è una persona con una sua storia personale, con un bagaglio ricco di fragilità e forza, paura e coraggio... lacrime e sorrisi.
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